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Il Sublime Simposio del Potere

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Ciao, mi chiamo Francesco e ho letto libri fantasy dai nove ai quindici anni.

di Francesco D’Isa

dite, amici, ed entrate

dite, amici, ed entrate

[intro redazionale

Sotto il nome di Sublime Simposio Del Potere andava la mailing list che ha usato Vanni Santoni per convocare un manipolo di prescelti a parlare di fantasy il 17 gennaio 2015 a Firenze, nella bellissima libreria TodoModo. La discussione è stata ampia e interessante: per questo ho chiesto a tutti i partecipanti di provare a trascrivere il loro intervento.

I tempi sono stati epici, conformemente al tema trattato, ma gli eroi hanno vinto le loro battaglie, e siamo pronti adesso a presentarvi, ogni martedì, una diversa visione del mondo del fantasy, con l’auspicio che questo genere minore susciti ancora fiamme di passione e, soprattutto, un buon dibattito.

aye!]

Ciao, mi chiamo Francesco e ho letto libri fantasy dai nove ai quindici anni. Ho iniziato con i “librigame”, per la precisione con le serie di “Lupo Solitario” e “Alla corte di re Artù”. Nonostante lo stile di scrittura non proprio eccelso (nel caso di Lupo Solitario è un tragico eufemismo), la mia immedesimazione nei testi era tale da considerarne le storie non dico al pari della realtà, ma addirittura superiori; erano, per così dire, la mia “realtà preferita”. Non è poi troppo strano, perché da bambini i confini del mondo sono labili, le identità sfumate e gli oggetti annodati in matasse multiformi;  solo età, esperienza, educazione e dolore fanno sì che il campo si restringa, in una miniaturizzazione del mondo che a volte è dannosa e altre volte solo apparente.

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In breve tempo ho completato tutti i librigame in commercio (tranne quelli rosa, erano per le bambine) e sono rimasto senza nulla da leggere. Così, nella libreria dove mi rifornivo abitualmente, sono passato allo scaffale adiacente: i libri fantasy. Ho acquistato Il Signore degli Anelli (avevo dieci anni) e dopo qualche giorno sono partito in vacanza al mare, dove ai giochi da spiaggia ho preferito costantemente la lettura del libro, che ho finito dopo un mese. È uno dei miei ricordi più belli; il romanzo di Tolkien aveva oscurato qualunque altro stimolo e si può ben dire che lo abitavo con tutto me stesso. Da questa descrizione sembra che io sia stato un bambino difficile e solitario, ma in effetti ero soltanto difficile: la mia passione era tale che avevo convinto tutti i miei amici a giocare al Signore degli Anelli, traslocando di fatto la mia vacanza dal mare in un altro mondo.

Di lì a cinque anni ho letto tutto quel che la sezione “fantasy” aveva da offrire; per la stragrande maggioranza erano libri mediocri, ma c’era anche qualche ottimo testo, sebbene mai al livello del Signore degli Anelli. In ogni caso, a meno che non fossero davvero illeggibili, la mia immedesimazione era totale e anche se il mondo “reale” mi pressava sempre di più (era arrivata l’adolescenza), il desiderio di fuggirlo non era da meno (l’adolescenza, appunto). In pochi anni lo scaffale era quasi vuoto e le incursioni nella fantascienza non mi consolavano. Era rimasto soltanto un libro fantasy, me lo ero tenuto per ultimo perché mi piaceva la copertina. E a questo punto ho deciso una cosa strana: una volta letto quel libro mi sarei trasferito “nel mondo fantasy”; dopo l’ultima pagina, bum! Mi sarei teletrasportato nel “mondo migliore”. Non ha funzionato. Ci sono rimasto male, mi sono guardato allo specchio, ho pensato «sei ancora qua», infine mi sono arreso all’evidenza e dedicato ad altro, per lo più a sopravvivere alla summenzionata adolescenza. Non ho smesso di leggere, ma sono passato ai libri “seri”, con una predilezione – che ho tutt’ora – per la letteratura “fantastica”, che può voler dire Kafka come Nabokov. Va aggiunto, citando proprio quest’ultimo, che «… la finzione è sempre finzione. L’arte è sempre inganno. Il mondo di […] tutti i grandi scrittori è un mondo fantastico con una propria logica, proprie convenzioni e proprie coincidenze. […] La realtà è sempre relativa, perché ogni realtà data, la finestra che vedete, gli odori che percepite, i suoni che udite, dipende non soltanto dal rozzo compromesso dei sensi, ma anche da differenti livelli d’informazione.».

Ogni realtà, appunto, è finzione, ma le finzioni non sono tutte uguali. Se vado alla ricerca della caratteristica principale della “finzione del fantasy” infatti, posso ipotizzare che si basi sulla creazione del “migliore dei mondi possibili” cui ero tanto affezionato. Come nelle fiabe e nei miti – ma a differenza di altra letteratura – nella narrazione fantasy accade sempre quel che è meglio che accada; la vita scorre esattamente come deve scorrere, con tragedie, grandezze, eroismi, vigliaccherie, miserie, incontri, meraviglie… è pur vero che anche “qui” è così, e il “lieto fine”, sebbene più frequente, non è assicurato neanche nel mondo fantasy. Eppure qualcosa in più c’è: “laggiù” i simboli sono una realtà letterale. Uno scontro, ad esempio, non è come una guerra, è proprio una guerra; un amore non è come un incantesimo, è davvero un incantesimo, e così via. Non solo; a differenza del mito e della fiaba, che danno una realtà concreta ai simboli (potrei anzi dire che li generano), il fantasy utilizza un gioco di sponda atto a rendere l’illusione più credibile. Se da una parte sostituisce alla vita i suoi stessi simboli, applica anche a questi ultimi le medesime regole della realtà abituale, rende insomma “i simboli più realistici”. Si potrebbe dire, con una metafora certo imprecisa, che il fantasy sta al mito come un quadro rinascimentale sta a un quadro medievale: in entrambi i casi si utilizzano dei nuovi trucchi per generare una rinnovata illusione di “realismo”.

illustrazione originale di Francesco D'Isa

illustrazione originale di Francesco D’Isa

Un esperimento psicologico di cui non ricordo la fonte dimostra come dei pesci, posti davanti a un pesce finto ma realistico e a uno in cui i caratteri della “pescità” sono semplificati e simbolici, interagiscono preferibilmente con quest’ultimo; da cui si deduce che anche i pesci, sebbene non siano in grado di crearli, anelano ai “mondi migliori”. Cosa si intende per “migliori” poi, è un nuovo problema: più semplici, più chiari, più estremi, più belli, più rilassanti, più soddisfacenti, abitabili, simmetrici, contenibili, prevedibili, rassicuranti, comprensibili, ideali… ci sono troppe possibilità per analizzarle o anche solo menzionarle in questa sede.

Nonostante non legga fantasy dal 1996, comunque, non mi sento un lettore o un uomo diverso. Immagino che questa tendenza ai “mondi migliori” resti la medesima anche quando prende altre strade, quando, per così dire, si rivaluta l’inferno, perché, come scrive Guénon, «il paradiso è ancora solo una prigione».



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